indipendenza catalana

 

Sono stato in Spagna per la prima volta nel 2011. A Barcellona, precisamente. Già con queste due frasi mi sono immerso fino al collo in quello che sarà un articolo davvero difficile da scrivere.

In primo luogo, sarà difficile per i sentimenti che provo verso un paese e una cultura che mi ha dato tanto. Un paese che mi scalda il cuore ogni volta che lo visito. Un paese che mi ha regalato una passione e tante ore di sudore e lavoro. Un paese che, purtroppo, in questi giorni sta brancolando nel buio, diviso nel suo intimo. E quando vedi qualcosa o qualcuno che ami tanto trovarsi nella stessa situazione di smarrimento in cui versa la Spagna, non puoi far altro che essere smarrito a tua volta.

Il secondo motivo di difficoltà è dato dal campo minato in cui si inserisce questo articolo: la questione catalana. Siamo di fronte a un vero e proprio rompicapo diplomatico in cui convergono motivi storici, politici, sociali ed economici. Motivi che, se analizzati approfonditamente, meriterebbero uno o più volumi di una qualsiasi enciclopedia.

Tuttavia, dato che le notizie che stanno arrivando dalla Spagna da un mese a questa parte sono di grande rilevanza per tutti noi, ritengo importante che Parole in Viaggio si occupi dell’argomento e non si limiti soltanto a essere una raccolta di resoconti e consigli di esperienze in giro per il mondo. Questo blog deve anche, e soprattutto, servire come uno spazio di confronto in cui documentarsi e costruire opinioni.

Nell’articolo di oggi avrei dovuto proporvi un’intervista a una persona interna alla questione. Si sa, infatti, che chi è esperto di un argomento può analizzarlo meglio. L’intento era quello di spiegarvi, in modo semplice ma definitivo, tutto il problema legato all’indipendenza catalana. Purtroppo, alcuni contrattempi hanno reso necessario posticipare l’intervista. Come conseguenza, ho dovuto cambiare i miei piani e ho pensato di guardare al problema da un punto di vista meno tecnico, più sociale, emotivo ed emozionale. Insomma, ho deciso di affrontarlo alla mia maniera.

Oggi vorrei sorvolare le diatribe sulla democrazia, sulla costituzione, sui referendum e sull’autodeterminazione dei popoli e concentrarmi sulla sconfitta dell’umanità. Quella sconfitta che si verifica ogni volta che costruiamo muri e abbattiamo legami invece di costruire ponti e abbattere frontiere. Io, che ho studiato per essere un punto di unione tra culture e popoli, mi sento sconfitto e impotente di fronte a tutto ciò. Continuiamo ad alterarci quando nei film i protagonisti si dividono per salvarsi la pelle, consapevoli che è la soluzione meno adatta, ma ci ostiniamo lo stesso ad allontanarci gli uni dagli altri.

I sentimenti che provo sono confusi. Forse, sono troppo legato all’argomento per poterne parlare lucidamente. Proprio per questo, ho trovato due articoli molto interessanti che possono trasmettere al meglio ciò che vorrei dirvi. Li ho tradotti per voi, dato che sono entrambi apparsi in spagnolo sul quotidiano El País qualche giorno fa.

Manuel Vicent

 

Il primo porta la firma di Manuel Vicent, scrittore e giornalista verso cui nutro un affetto particolare. È stato proprio un suo articolo, infatti, il primo testo che ho tradotto dallo spagnolo all’italiano al primo anno di università. Tutte le volte che leggo qualcosa di suo, ritorno a quei pomeriggi passati ad arrovellarmi per trasmettere con le parole più adatte tutta la poesia di cui è impregnato ogni suo scritto. Anche questa volta, Vicent non mi ha deluso. La versione originale si trova a questo link.

Stelle

Se i pellegrini medievali diretti a Santiago de Compostela lungo la Via Lattea, così era chiamato il Cammino di Santiago, avessero saputo che questa, ben lungi dal segnalare una rotta magica diretta alla fine della Terra, ha in realtà una forma elicoidale simile a un disco volante in funzione, non avrebbero mai intrapreso questo viaggio iniziatico, né sfidato la paura della vertigine e dello smarrimento. Anche oggi, se i pellegrini europei che attraversano Roncisvalle o che camminano sulla Via de la Plata o sul Cammino Portoghese sapessero che la Via Lattea potrebbe non esistere più, forse non uscirebbero neanche di casa. Infatti, nonostante continuiamo a contemplarla con emozione nelle notti limpide, la Via Lattea potrebbe essersi estinta già da molti anni, nel tempo che la sua luce ha impiegato ad arrivare sulla Terra. Questa è la possibile finzione cosmica in cui viviamo. Se la Via Lattea non esiste più e tutte le luci che osserviamo sono illusorie, che dire della stella della bandiera della Catalogna, che segna la delirante rotta dei pellegrini catalani verso l’indipendenza? Dobbiamo chiederci a che tipo di buco nero ci condurrà quella luce confusa e vertiginosa. Se domani la Catalogna venisse dichiarata repubblica indipendente, molti catalani, credendosi liberi e sovrani, si alzerebbero dal letto sicuri che l’indipendenza migliorerà le loro vite, ma la mente accecata e il cuore infiammato dall’amore per la patria impediranno loro di vedere che dietro questo sogno esiste solo oscurità e, alla fine, pieni di frustrazione e malinconia, in mezzo a una violenta frattura sociale tra fratelli, dovranno affrontare la grigia routine quotidiana, mentre il Sole, l’unica verità della nostra vita, sorgerà puntuale in Catalogna e tramonterà a Finisterre.

 

Almudena Grandes

La seconda voce che ho voluto interpellare è quella di un’affermata scrittrice contemporanea: Almudena Grandes. Anche nei suoi confronti nutro un amore spassionato. Una donna forte che non ha mai paura di esprimere la sua opinione e che riesce a scrivere pagine di una bellezza disarmante. Il ritratto che Almudena dipinge nell’articolo seguente è quello di una Spagna in cui tutti ne escono sconfitti. Se ci fate caso, però, le sue parole potrebbero riferirsi anche alla nostra Italia. Attenzione a giocare troppo con le bandiere, potremmo finire per perdere l’orientamento! La versione originale si trova a questo link.

 

Bandiere

È l’ora del patriottismo, il momento di tirarsi su le maniche, di lavorare per il bene del Paese, per il benessere e il progresso dei suoi cittadini. Perché, al di là del disastro multiplo di ieri, tutto ciò che ci opprimeva e preoccupava qualche mese fa è ancora lì. Le bandiere hanno coperto i processi per corruzione, i femminicidi, lo sfruttamento dei lavoratori precari, la minaccia jihadista, il taglio degli investimenti pubblici, le lacune che ritardano il lavoro della giustizia, la mancanza di investimenti nella pubblica istruzione, le conseguenze dei tagli nella sanità, i catastrofici effetti del cambiamento climatico, l’indigenza di una moltitudine di lavoratori che guadagnano così poco che il loro salario non permette loro di risollevarsi dalla povera, la tragedia di tutte le migliaia di rifugiati che, da un giorno all’altro, hanno smesso di esistere per tutti quelli che hanno deciso di avvolgersi nella loro bandiera, spagnola o catalana non fa differenza, dato che, in fin dei conti, sono tutte uguali. Sono state tutte fabbricate in Cina dagli stessi disgraziati che hanno guadagnato la stessa miseria per confezionarle. Il movimento indipendentista catalano ha incrementato il giro di affari dei negozi gestiti da orientali in tutto il territorio spagnolo, ma ora, all’indomani dell’ 1-0, è arrivata l’ora del patriottismo; perciò mi dirigo ai clienti di questi negozi per chieder loro di togliere le loro bandiere dai balconi e di comportarsi come patrioti una volta per tutte. Se dietro ogni terrazzo adorno vivessero persone davvero interessate al progresso della loro nazione e alla felicità del suo popolo, non saremmo in balia di politici corrotti, inetti e irresponsabili come quelli che ci governano grazie al voto dei tanti milioni di fanatici delle  bandiere.

 


Spero che quanto letto finora vi sia utile per riflettere. Per quanto riguarda l’intervista di cui vi parlavo poco più in alto, non preoccupatevi: la pubblicherò non appena riuscirò ad averla in mano!